Nel 2004 è nata l’Acti, Associazione cardiotrapiantati, sezione di Roma.

E a quasi 19 anni di distanza, lo scorso 15 gennaio, ha promosso un evento di sensibilizzazione e raccolta fondi. «Ogni atto di bene va oltre il beneficio misurabile: il dono dei organi ha un significato simbolico e trascendente», ha commentato don Davide Lees, parroco di S. Giovanna Antida Thouret, che ha ospitato l’incontro nel teatro parrocchiale.

Il presidente Franco Osvaldo Faieta ha invitato «ad aderire all’Acti e a supportarla per le sue attività»; gli ha fatto eco il dottor Fabio Sbaraglia, direttore del Day hospital cardiotrapiantati e centro scompenso cardiaco.

Ad appoggiare l’importanza della donazione di organi c’erano anche i rappresentanti di altre associazioni: Fabio Sturabotti, presidente dell’Aido Roma, ha ricordato che «tantissimi trapianti non possono essere effettuati perché manca un donatore o la cultura della donazione, un soggetto potenzialmente donatore. Maggiore è il numero di donatori, maggiore è la possibilità di arrivare a un trapianto».

Nel portare il suo saluto, il professor Salvatore Di Somma (direttore scientifico dell’Aisc, Associazione italiana scompensati cardiaci), ha sottolineato la necessità di «implementare la conoscenza dello scompenso, che è l’anticamera del trapianto di cuore. Ad oggi i pazienti sono circa 12 mila in tutta Italia e la ricerca scientifica ci permette di ricorrere a device e altri dispositivi, evitando il trapianto». Poi Adolfo Camilli dell’Avis ha ricordato l’urgenza della donazione del sangue con «un appello accorato: a Roma su 6 milioni di abitanti, che escludendo anziani e bambini scendono a 4 milioni, donano il sangue appena 80 mila persone ogni anno. Si tratta del regalo più bello che una persona in vita possa fare a uno sconosciuto: servono sacche per operare e trapiantare organi».

Ha portato il suo saluto anche Roberto Costanzi, dell’Associazione malati di rene, che ha voluto ricordare la sua lunga collaborazione al Tavolo regionale trapianti con Tonino Badaracchi, fondatore dell’Acti Roma: «Era sempre conciliativo, pronto a tentare di smussare gli angoli; il Giardino dedicato ai donatori di organi all’ospedale san Camillo, da lui fortemente voluto e inaugurato, andrebbe rivalutato».

Di qui l’invito a essere «sponsor e testimonial del trapianto di organi, per convincere a donare: dovrebbe essere motivo di orgoglio pensare che forse sarò utile agli altri. Nel Lazio sono oltre 800 mila le dichiarazioni di volontà positive registrate, di cui 400 mila a Roma».

Dopo la memoria di Tonino, Giacomino, Paolo, degli altri trapiantati deceduti e dei donatori con il brano live “Qui” di Antonello Armieri, la parola è passata a Massimo Russo, portatore di Vad (dispositivo ventricolare che serve a migliorare la circolazione sanguigna e a facilitare il cuore), vicepresidente Acti Roma e musicista, che ha portato la sua testimonianza. «Nel 2007 mi trovavo negli Stati Uniti e stavo giocando una partita di calcio quando ho avvertito un forte dolore al petto». In ospedale gli viene diagnosticato un infarto con edema polmonare e Massimo entra in coma. Le sue condizioni sono gravissime e alla moglie, in Italia per un convegno, viene chiesto di pronunciarsi sull’eventuale donazione dei suoi organi in caso di decesso. Una volta ripreso, dopo una decina d’anni il cuore ha iniziato a cedere e da potenziale donatore Massimo diventa un potenziale destinatario di trapianto per una cardiopatia dilatativa, «ma a causa di pressioni polmonari molto alte non potevo essere trapiantato e quindi 5 anni fa è stato inserito il Vad. Ma ci dovrebbe essere un limite nella lista d’attesa del nuovo organo».

È intervenuta anche Caterina Favoloso, mamma del 19enne Alessio deceduto in un incidente, donatore nel 2001 per volontà dei genitori: il suo cuore ha battuto per 18 anni in un trapiantato, che ha potuto veder crescere i figli e nascere i nipoti. «La donazione di organi è un amore più grande che continua e dà un senso alla morte con la speranza che puoi dare agli altri», ha commentato con profonda commozione. Infine il Dr. Mariano Feccia, direttore del Centro regionale trapianti del Lazio, ha messo in luce nuovamente la preziosità dei donatori, definendoli «eroi invisibili» che consentono dopo la loro morte di dare nuova vita. «Senza un cuore o un fegato, il paziente che ne ha bisogno nel giro di uno o 2 anni non è più con noi. Con il trapianto di cuore sopravvive il 95% dei pazienti dopo un anno, l’80-85% dopo 5 anni, il 75% dopo 10 anni».

Il Lazio si trova al quinto posto in Italia come regione per numero di trapianti e donazioni, a fronte di un’alta percentuale di opposizioni, «intorno al 33%, con una media nazionale di circa il 28%. Ma il nostro sì crea vita: nel Lazio 1.087 persone sono in lista d’attesa per un organo (di cui 911 per un rene), a fronte di circa 250 trapianti all’anno in 5 centri per adulti e uno pediatrico. Per un cuore, 3 persone sono in attesa».

Il concerto del “Jazz heart quartet”, con Massimo Russo alla chitarra, e un rinfresco hanno concluso il pomeriggio ricco di contenuti e spunti riflessivi.

Articolo della Giornalista/Scrittrice:

Badaracchi Laura